Sensibilizziamoci! Lettere aperte ai miei lettori

Lettera aperta:

Storia di ordinaria ingiustizia

Di Leonardo Rubino


 

Con contratto del 1° settembre 2000 trasferii la mia attività di lavorazione artigianale del cuoio nel locale in Via Duni, 22 a Matera, intuendo che la zona sarebbe diventata commercialmente strategica vista la vicinanza al centro storico e a servizi e siti importanti come parcheggio, museo, Palazzo Lanfranchi ecc.

Decisi di investire non pochi soldi stipulando anche un mutuo con la banca, per ristrutturare Il negozio-laboratorio che divenne nel tempo la sede storica dell’attività rubinocuoio: dieci anni vissuti nel locale di Via Duni, metà di un’esperienza lavorativa complessiva di vent’anni.

Tutto sembrava procedere bene, Via Duni divenuta nell’arco di una decina d’anni punto di passaggio quasi obbligato per i numerosi turisti che si apprestano a visitare i Sassi di Matera, ha attirato ben presto l’interesse di altre attività commerciali che hanno contribuito ad aumentarne il flusso di passanti, anche cittadini.

Tutto secondo quanto previsto e sperato fino ai primi giorni del Marzo 2007 quando in seguito ad abbondanti piogge si sono verificati i primi fenomeni d’infiltrazioni d’acqua dalle volte del locale, diffuse e sparse, per tutta la sua lunghezza.

Superati i primi disagi con bagnarole e con chiusura dell’attività per ripristinare un minimo la fruibilità del negozio, informavo subito di quanto accadeva sia il proprietario del negozio-laboratorio, che il padrone dell’appartamento sovrastante in stato di completo abbandono.

Ho dapprima pregato entrambi, affinché si trovasse una soluzione tempestiva al problema che si aggravava con il passare dei giorni di una primavera assai piovosa, (come dimostrano i numerosi verbali della polizia municipale e dei vigili del fuoco, intervenuti più volte a certificare il nostro disagio.)

A dispetto delle rassicurazioni da parte del locatore, la convinzione che si trattava solo di una questione di buon senso, svaniva via via con il passare del tempo senza che nulla si facesse, tanto da costringermi ad intimare legalmente gli interessati a voler porre rimedio alla questione, pena la richiesta di risarcimento danni.

Nonostante tutti gli appelli alla ragione, le cause delle infiltrazioni non furono eliminate, né tanto meno le infiltrazioni cessarono.

Nei primi mesi del 2008, vista l’inerzia dei responsabili e la perdita di attrattiva del negozio a causa dal degrado che l’umidità provocava, si rese urgente e necessario eseguire lavori che riportassero almeno esteticamente il locale ad uno stato dignitoso, con conseguente chiusura di quindici giorni dell’attività, tutto a spese del sottoscritto, pur di non intraprendere costose azioni giudiziarie.

I lavori di riqualificazione, non rimuovendo all’origine le cause delle infiltrazioni d’acqua, furono ben presto inutili, così che la situazione divenne insostenibile a inizio 2009 anche in concomitanza con i lavori di ristrutturazione avviati e poi fermati dell’appartamento sovrastante.

L’indifferenza ed il cinismo rispetto alla nostra sofferenza (mia e della mia famiglia) da parte di tutte le persone coinvolte nella vicenda, mi hanno costretto ad avviare “sempre a mie spese” un procedimento tecnico preventivo presso il tribunale di Matera. Che definì la situazione “inaccettabile dal punto di vista igienico-sanitario“.

La stessa relazione del C.T.U. individuava come causa delle infiltrazione “la mancanza di lavori condominiali dell’edificio”.

Ad Aprile 2010, dopo tre anni dalle prime infiltrazioni e senza che nulla cambiasse, il triste epilogo!

In seguito alla dichiarazione d’inagibilità del locale redatta dal dipartimento di igiene pubblica del’ASL di Matera, si giunse all’inevitabile decisione di chiudere il negozio-laboratorio a difesa della salute mia e di chi frequentava il locale.

La sintesi necessaria ai fini della comprensione da parte di chi non ha vissuto la storia direttamente, non può esprimere il malessere, i soprusi e le difficoltà, che ho dovuto sopportare, pur di non veder sfumare i sacrifici di tanti anni passati nella sede di Via Duni.

Accettare di fatto la latitanza assoluta del proprietario del locale riguardo alla vicenda, pazientare, senza venir meno agli obblighi contrattuali e al relativo pagamento del fitto per tre anni, sebbene le condizioni e il disagio cui ero sottoposto, è stata una scelta indotta dal fatto che non avevo nessun’intenzione di imbattermi in una costosa vicenda giudiziaria (conoscendo tra l’altro, “come vanno le cose in Italia”!) ma anche una scelta che ritenevo obbligata, perché mi sembrava assurdo dover rinunciare a dieci lunghi anni di investimenti e sacrifici, trascorsi nel locale che ritenevo dovesse diventare la sede permanente dell’attività.

Non potevo: o forse non volevo credere, che davanti ad una situazione così evidente si potesse arrivare a tanto.


Ad Aprile 2010 costretto a chiudere per inagibilità il negozio-laboratorio, e non potendo più lavorare, non ho voluto, ne ho più potuto pagare il fitto: di qui il procedimento di sfratto per morosità nei miei confronti da parte del proprietario secondo il quale mi sarei reso inadempiente non pagando il canone.

Il giudice onorario respinta in prima istanza la richiesta di convalida di sfratto provvisorio, ha disposto la prosecuzione nel merito del processo.


Con sentenza n° 371/11 del 21/07/2011 lo stesso giudice onorario mi ha dichiarato inadempiente avendo maturato la convinzione che utilizzo il locale-laboratorio come deposito. Quindi a suo avviso, il mancato pagamento del canone non è giustificato, non essendo venuta a mancare la controprestazione del locatore. Ha disposto inoltre lo sfratto entro il 20/08/2011 condannandomi al pagamento di tutte le mensilità arretrate. Il giudice in buona sostanza ha avvalorato così la tesi della controparte che inizialmente ha addirittura clamorosamente sostenuto che nel locale di Via Duni “io non avrei mai svolto la mia attività artigianale: pur avendo stipulato un contratto di fitto per uso commerciale, l’avrei utilizzato da sempre come deposito”.

Rubinocuoio, (secondo la controparte) avrebbe continuato ad esercitare in questi dieci anni nella vecchia sede di Via delle Beccherie, 38 dove in realtà da altrettanti dieci anni esercita un altro artigiano, “un rinomato parrucchiere di Matera”.

<<Qualcuno evidentemente, deve… aver confuso il cuoio capelluto di cui si occupa il bravo Mario, con il cuoio che da venti anni lavoro!>>

Come è ovvio, smentito puntualmente con tutta la documentazione del caso, non potendo la controparte in alcun modo contraddire, ha cambiato versione sostenendo nuovamente, che dopo la chiusura del laboratorio detengo il locale utilizzandolo come deposito.

La verità è che svuotato il locale di tutto ciò che era ancora salvabile, visti gli ingenti danni causati del persistere dell’umidità, le uniche cose rimaste all’interno, sono le macerie di un’attività andata in fumo, che devono essere ancora stimate ufficialmente, prima di poterle eventualmente spostare.

È comprensibile che tale situazione sia stata strumentalizzata dalla controparte per ovvi motivi, ma non si capisce come può convincere allo stesso tempo un giudice, viste anche le falsità che miravano fin dall’inizio a sostenere che nel locale non si svolgeva attività che comportasse l’accesso al pubblico; così è altrettanto assurdo pensare che in qualche modo si possa usare un locale fatiscente come deposito. Deposito di cosa? Di merce ammuffita?

Ho smesso di pagare il fitto solo dopo tre anni di patimenti, quando sono venute a mancare le condizioni minime necessarie per continuare a svolgere la mia professione all’interno del locale. Il diritto a lavoro e a lavorare in ambienti salubri, è un diritto di tutti, maggiormente quando gli stessi sono garantiti da un vincolo contrattuale.

Che la situazione era divenuta insostenibile dal punto di vista igienico sanitario tanto da dover chiudere il laboratorio, è comprovata dalla relazione di un C.T.U. dalla dichiarazione d’inagibilità dell’A.S.L. di Matera e dalla deposizione in ambito processuale di tre testimoni e per gli stessi motivi non è ipotizzabile l’utilizzo del locale in alcun modo, tanto meno l’utilizzo come deposito.

Ci appelleremo a questa sentenza ingiusta che nega diritti fondamentali e basa le sue conclusioni su fatti inesistenti, e mai provati, prendendosi gioco della dignità di chi come noi oltre ad aver subito danni ingenti, continua a vivere ormai da anni, una condizione di stress e frustrazione, per i sacrifici di vent’anni di attività andati in fumo, e per l’inciviltà riscontrata nei risvolti di questa vicenda che ancor più complessa di quanto descritta.

Oggi sento il bisogno di dover rendere pubblico ciò che ci sta accadendo perché i motivi che mi rendevano restio a intraprendere azioni giudiziarie, evidentemente, non sono “ luoghi comuni”, ma la “triste realtà” di una giustizia che favorisce molto spesso i soliti furbetti che fanno ”carte false” pur di non assumersi le proprie responsabilità.

Nonostante tutto, andremo avanti in questa battaglia legale, sia per senso civico, che per “senso critico”.

Facciamo appello alla società civile, chiediamo sostegno anche solo morale, agli artigiani, alle associazioni di categoria, alle associazioni che si preoccupano di promuovere il lavoro e la dignità degli artigiani del sud del mondo, a chi si occupa di cultura, di consumo critico, a chi è convinto come noi, che “l’identità dei luoghi” non è rappresentata da tufi, messi l’uno su l’altro, ma è la natura di un delicato rapporto tra uomo e territorio che l’artigiano sembra incarnare a pieno.

Chiediamo sostegno a quanti hanno scritto e testimoniato il nostro legame al territorio, quando avremmo potuto esportare il nostro lavoro al di fuori del nostro contesto, a chi si occupa di legalità, a tutti quelli che stanno promuovendo Matera come città della cultura, ovviamente con la speranza di poter rappresentare anche noi, con il nostro lavoro, il patrimonio culturale della nostra città.

Chiediamo sostegno e interesse alla nostra storia, ((frutto del malcostume dilagante) perché non si consumi a nostre spese nelle aule di un tribunale, anche nell’interesse generale della legalità, e del “diritto”!


Invitiamo tutti a sottoscrivere questo nostro appello: non ci farà sentire soli… e farà sentire tutti più “cittadini”.

 

 

 

 

Rubinocuoio@yahoo.it

3486492875

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